Soprattutto poca chiarezza e molti fraintendimenti, almeno per noi che per vita indipendente intendiamo “possibilità di vivere in libertà e uguaglianza come e insieme a tutti gli altri cittadini e, soprattutto, di autodeterminare la propria vita”.
- Il primo e più evidente intralcio sta nel “progetto individuale, personalizzato e partecipato”; dove “partecipato” significa che si accreditano d’ufficio altre persone o agenzie a dare un’impronta alle scelte, sia legate alla quotidianità che a una più ampia progettualità, di fatto creando una categoria di cittadini che deve presentare un progetto per poter compiere azioni quotidiane come alzarsi, lavarsi, mangiare, incontrare altri cittadini!
“Partecipato” significa inoltre che all’interessata/o e alla sua famiglia viene chiesto di partecipare alla spesa. - Si stabilisce di promuovere azioni quali “l’accesso ai servizi e agli interventi domiciliari, diurni e residenziali della rete sanitaria, sociosanitaria e sociale per un sostegno finalizzato alla vita indipendente, garantendo l’inclusione nel tessuto sociale ed evitando l’isolamento e la segregazione” senza accennare a cosa realisticamente ci si riferisce.
- La figura chiave dell’assistente personale è considerata secondaria e il suo costo può essere solo rimborsato, non finanziato come avevamo richiesto. Così che chi non puo’ anticiparne il costo non ha la possibilità di cominciare il suo percorso di vita indipendente.
- Non è dato sapere cosa s’intende per “promuovere modalità di fruizione dei servizi e delle strutture destinate alla generalità dei cittadini, adattandoli ai loro bisogni” (seppure queste parole sembrano riferirsi all’articolo 9 della Convenzione ONU).
- La cosiddetta valutazione multidimensionale e il nascituro Centro per la vita indipendente ricalcano l’eccesso di soggetti che si vuole indirizzino il progetto personalizzato anche nei casi in cui protagonista è un/a cittadino/a con disabilità soltanto motorie.
É così che si introducono, senza delimitare i confini dell’intervento di agenzie varie, concetti come “concrete esigenze” oppure “intervento educativo” o “interventi residenziali sperimentali”: concetti che fanno dubitare sia del grado di conoscenza della realtà di chi li ha formulati, sia delle reali intenzioni che li sottendono.
Quali saranno le “associazioni maggiormente rappresentative delle persone con disabilità” che la giunta della nostra Regione deve sentire entro il prossimo giugno prima di dare attuazione a questa legge?
Riusciremo a far comprendere alla giunta regionale che non tutte le disabilità necessitano di così tante intromissioni esterne a supporto delle decisioni sulla propria vita; e che occorre, quindi, riformulare gran parte di questa legge per rendere più chiara ed esigibile la libertà di scegliere sia della propria quotidianità che delle proprie prospettive?