Questo articolo ha lo scopo di informare e denunciare la situazione complicata di chi vive con una disabilità fisica (ma non solo) in una regione “moderna” come la Lombardia.
La crisi finanziaria e il COVID hanno solo peggiorato una situazione che da anni è sempre stata trattata con poca competenza, tant’è che le varie associazioni, in particolare Ledha, Uildm, Comitato Vita Indipendente e nell’ultimo anno, il Comitato Famiglie Disabili Lombarde, si sono più volte dovute scontrare sui tavoli di lavoro, obbligando i tecnici a continue modifiche sulle delibere.
Partiamo dal presupposto che ogni persona ha la sua storia, ogni disabilità è diversa, quando si parla di vita indipendente o inclusione sociale entriamo in un campo vastissimo che non basterebbero poche pagine per fare una panoramica completa.
Ogni tre anni, il governo italiano stabilisce il capitale del “Fondo per le non Autosufficienze” (FNA) e lo distribuisce alle Regioni; queste ultime, annualmente, stabiliscono una quota partecipativa destinata a integrare il fondo stesso.
Di seguito le diverse soluzioni adottate dalla Regione Lombardia:
● Fondo B1 per disabili gravissimi
● Fondo B2 per disabili gravi
● Progetto Vita Indipendente/ Pro.Vi
● “Dopo di noi” per chi vive in microcomunità con altre persone disabili
● “Voucher” per garantire le relazioni per minori disabili
In aggiunta a quanto riportato, è possibile richiedere assistenza infermieristica o fisioterapia SAD/ADI a cooperative specializzate o alla ATS; tali contributi vengono concessi solamente in certi casi, previo accertamento di determinate patologie. È inoltre necessario che l’ISEE risulti di importo molto basso per evitare che la tariffa oraria risulti “piena”.
Il capitale del FNA è composto da una quota statale, c.ca 90 mln, e una regionale, c.ca 23 mln (di cui 13 da fondi sanitari), questi c.ca 113 mln totali vengono così suddivisi: c.ca 80/85 mln alle misure B1 (70%) e B2 (30% – gestita dai distretti), 20 mln al “Pro.Vi” e 13 ai “Voucher”
Qui di seguito la tabella 2020/21
I distretti fanno un piano di zona, un progetto individuale ad personam e successivamente a seconda del bilancio annuale, ogni 12 mesi, stilano il bando B2 per la distribuzione dei soldi. In mancanza di fondi per tutti, i Comuni dovrebbero integrare (Legge 8 novembre 2000, n. 328)
La prima criticità è nel bando B1. Le schede di valutazione funzionale sono fonte di dibattito: persone con le stesse patologie neuromuscolari, per esempio, non hanno punteggi uguali causa minime differenze di forza non risultando in diritto di accedere alla stessa misura. Sto parlando della scala MRC, la quale, in mancanza di ventilatore e nutrizione assistita permette l’accesso alla misura. E’ una scala nata con il M.R.C. Medical Research Council agli inizi del 1900 per essere aggiustata l’ultima volta per i Giochi Paraolimpici del 2012, capite bene che non è sempre facile applicarla a patologie con deficit neuromuscolari
Per quanto riguarda la misura B1 ci sono incongruenze territoriali, tempistiche diverse, modalità nella presentazione delle domande diverse, spesso i cittadini fanno confusione perchè invece che semplificare la gestione delle ASL, che non esistono più, si è passati alle ATS (Agenzie della tutela della salute) che dipendono dalle ASST (Aziende Socio Sanitarie Territoriali). Più che facilitare, secondo me, è solo un modo per aumentare le classi dirigenziali impegnando più fondi all’organizzazione sanitaria (o forse alle poltrone?) che ai cittadini.
Passiamo alla B2. Io credo che sia assurdo che gli anziani siano soggetti alle stesse condizioni delle persone con disabilità al 100% con età compresa tra 18 e 64 anni.
Altro punto critico, la distribuzione dei finanziamenti ai distretti, non si capisce su quale parametro vengono realmente dati; a tal proposito non ci sono tracciamenti pubblici. Se fate un confronto tra ATS, e io l’ho fatto, si evince che ogni distretto ha numeri diversi, bandi diversi, talvolta territori più vasti hanno meno fondi. La cosa più critica, è che ogni distretto può interpretare a suo modo la delibera regionale.
note – prima colonna/ caregiver / assistente/ V.I.
Piccolo inciso: ci sono persone con disabilità fisica invalidante, non autosufficienti, che tuttavia riescono a farsi una famiglia, lavorano e hanno tutta la necessità di avere un’assistenza continua per non gravare sul partner o famigliari.
Erroneamente si crede, che se una persona disabile è sposata, debba dipendere dal coniuge come principale assistente nelle mansioni quotidiane, “chissenefrega” se quest’ultimo abbia un lavoro, se risulti deleterio per l’equilibrio della coppia che uno diventi “l’infermiere” dell’altro o se uno dei due dovesse ammalarsi.
Mi capita di vedere situazioni in cui una persona con disabilità diventi genitore, lo sono anche io che scrivo queste righe, mamma con SMA 3 -atrofia muscolare spinale- di una bambina di tre anni. Quando sono diventata mamma nessun aumento per la propria assistenza personale, per la casa, neanche i primi mesi di vita dell’infante; si da’ per scontato che ci sia una famiglia alle spalle, i nonni, l’altro genitore, sminuendo così la genitorialità della persona disabile. E se, come nel mio caso, non c’è nessun familiare oltre al coniuge?
Confrontandomi con una coppia di amici milanesi, in una situazione simile alla mia, entrambi lavoratori, lei con SMA3, è emersa una comune riflessione di cui vi scrivo qui di seguito. Andiamo quindi ad analizzare la parte economica perché in essa si evincono le gravi mancanze di competenza e la superficialità con cui queste misure sono pensate.
Sia la misura B1, che la misura B2 hanno, giustamente, come parametro di accesso economico la valutazione dell’ISEE familiare ma il modo in cui tale parametro è strutturato denota incompetenza e totale mancanza di conoscenza della realtà delle varie famiglie esistenti in questo paese.
Prima di addentrarci in ulteriori dettagli, partiamo dal comprendere quanto costa un caregiver assunto regolarmente che possa assistere un disabile in condizioni di gravità: si parla di una quota variabile (a seconda delle ore) fra i 1200€ e i 1500€ mensili.
Per la misura B1 fortunatamente è stato messo un tetto piuttosto alto che permette, nel più dei casi l’accesso a chi ne ha veramente bisogno. Eventuali rimborsi o risarcimenti inerenti alla disabilità NON sono scorporabili dalla giacenza media ISEE e in tal senso si è già mosso il “Comitato Famiglie Disabili Lombarde”.
Approfondendo la tematica della misura B2 si riesce ad osservare il peggio: è stato stabilito un tetto ridicolo di ISEE pari a 25.000€ ma, non esistendo né aliquote né scaglioni, tale limite risulta asettico rispetto a quanto calcolato. Per darvi un esempio, a Milano, per un ISEE di 24999€ potrebbero essere elargiti 800€ mensili (la giunta Milanese ha deciso di integrare con fondi propri), con 25001€, invece, il contributo viene azzerato.
Anche nella città metropolitana e negli altri distretti, i parametri per la distribuzione dei fondi B2 alle famiglie vengono calcolati in base all’ISEE e alle ore del caregiver, che sia famigliare o un assistente personale assunto regolarmente.
In molti bandi emerge che se un cittadino volesse chiedere dei soldi per compensare l’aiuto del caregiver famigliare, questo dovrebbe essere disoccupato e vicino ad una soglia di povertà molto bassa. Come già spiegato, gli scaglioni di ISEE sono davvero bassi: in un distretto come quello in cui risiedo (distretto Paullese), con cifre inferiori ai 15k e una invalidità al 100%, ricevi circa 250 €/mese pur dovendo far fronte ad una spesa di circa 11k-12k /anno per sostenere l’assunzione di una persona part time. Alcuni distretti hanno fatto bandi talmente scarsi che tantissime famiglie sono rimaste completamente escluse.
Da tutto questo potete capire che una persona che non è in grado di andare in bagno autonomamente, che non può mangiare da sola o gestire una casa, non copre neanche i contributi Inps del suo assistente o addirittura non riceve nulla. Pensate se ci fosse l’esigenza di coprire l’intera giornata e alleggerire il carico del partner o dei genitori anziani che fanno da caregiver, impossibile per una famiglia media!
La domanda che chiunque si pone è: ma perché invece di mettere un tetto così basso che annulla completamente il contributo non è stato concepito un sistema a bande di ISEE con contributi progressivamente più bassi in funzione della situazione reddituale?
Del resto le aliquote INAIL funzionano esattamente così. Facendo due conti è facile dimostrare che a parità di capitale iniziale introducendo delle aliquote ben strutturate è possibile elargire il contributo a molte più famiglie anche se ovviamente in forma ridotta per i redditi più alti.
Come si può notare semplicemente creando degli scaglioni decrescenti di contributo per aliquote ISEE maggiori è facilmente possibile aumentare drasticamente il numero di famiglie aiutate. La domanda da farsi è se veramente una cosa tanto banale deve essere suggerita dagli stessi disabili.
Per dimostrare la facilità riportiamo qui di seguito un esempio ipotetico dei valori di Milano, che però utilizza il REALE capitale disponibile per la misura B2 per l’esercizio 2021.
A questo punto non conviene sposarsi, avere un lavoro, neanche mezza giornata, fare un figlio… meglio essere un nullafacente per avere qualche diritto riconosciuto. Vi sembra normale?
La Regione Lombardia inoltre fa un grave errore nella valutazione di cosa significhi “vita indipendente”. Con il fondo Pro.vi, si può arrivare ad avere 800€ mensili che comunque non bastano per 24h di assistenza di una badante; inoltre non si può accedere alla vita indipendente se si è sposati, si vive con i genitori, ma se ne ha diritto solo esclusivamente se si è soli con un assistente regolarmente assunto; avete idea di quanto costi un’ assistenza continuativa?? Ci deve essere comunque qualcuno che sostenga il resto dello stipendio e anche ammesso che la persona disabile lavori, è normale che tutto lo stipendio vada in assistenza?Questo succede anche per chi riceve la B2, ovviamente per sopperire alle mancanze di fondi, devi spendere ciò che guadagni per avere un aiuto. Non è assolutamente corretto.
Capisco che la coperta è corta, ma negli anni, nonostante il FNA sia aumentato, la Regione Lombardia ha fatto tagli drastici, anche nella B1, ci sono persone allettate con la SLA che non sono ricche e non possono avere l’assistenza continuativa, è questione di vita e morte, quindi finiscono inevitabilmente in strutture protette e RSA.
E la dignità delle persone? La libertà di decidere dove e con chi vivere? La Convenzione Onu che tutela le persone disabili? Aria fritta.
Non voglio dimenticare di dirvi due cose molto importanti; in periodo pandemico, le istituzioni hanno rallentato tutte le procedure, per esempio nel distretto Paullese, sotto ATTS Martesana, siamo rimasti senza un bando e fondi da gennaio 2020 a luglio, mentre molti cittadini lavoravano in smartworking, facevano riunioni via zoom, le istituzioni hanno freezato il loro programma. Nessun Comune ha compensato e aiutato direttamente nel periodo più difficoltoso, ma non è una novità, ogni anno al rinnovo delle delibere e poi ai bandi distrettuali, per uno o due mesi, si rimane senza fondi e alle famiglie non vengono dati gli arretrati.
Vedo una classe politica molto poco attenta alle esigenze delle persone con disabilità, non solo Regioni, i Distretti, i Comuni non si impegnano a sopperire alle mancanze, spesso i servizi sociali non condividono i PAI (piani individuali personalizzati) con i cittadini interessati, non li informano dei loro diritti e queste incompetenze sono dovute a grosse irresponsabilità, i problemi delle amministrazioni locali non hanno “colore”, ci sono a destra come a sinistra. Questo aspetto è preoccupante, se il problema fosse solo la classe politica Regionale, gli assessori, Fontana e company, si potrebbero arginare, ma purtroppo le giunte all’opposizione fanno spesso ostruzione per scaricare la responsabilità sugli avversari; questo scaricabarile continuo porta ad una sfiducia nelle istituzioni e una poca solidità politica aumentando l’evasione e creando un circolo continuo in cui le risorse potrebbero essere concesse maggiormente ai più furbi e meno a chi cerca di vivere da cittadino onesto.
Concludo dicendo che le persone disabili hanno tutto il diritto di decidere con chi e dove vivere, di accedere alle stesse condizioni agli edifici pubblici o agli spazi comuni, di poter lavorare con aiuti necessari a seconda della disabilità.
Il diritto di cura deve essere garantito e non devono presentarsi situazioni, come durante la pandemia da “COVID 19”, nelle quali il dibattito si soffermi su quesiti inerenti al salvare prima le persone che non abbiano grave disabilità e/o anziane. Non lo dico io ma la “Costituzione Italiana” e la “Convenzione Onu per la tutela delle persone disabili.
Sonia Veres, 38 anni di Peschiera Borromeo